sabato 2 gennaio 2010

Comunque io è una vita che mi rompo le palle.

Quando ero piccola mi annoiavo sempre. Non ero una bambina infelice, o stramba, o problematica, semplicemente mi rompevo costantemente le palle.
Giocavo coi lego, e dopo un po' mi stufavo e li rimettevo a posto. Giocavo con le barbie, e ad un tratto non ne potevo più e le frullavo sotto il letto.
La domenica uscivo di testa, perché non c'era scuola e tutti i miei amichetti dormivano fino a tardi. Anzi, non è vero che dormivano, erano i genitori che li tenevano in ostaggio a letto.
Anche dopo pranzo, non si poteva giocare prima di una certa ora perché alcuni genitori avevano questa assurda convinzione che i loro figli dovessero necessariamente farsi una pennica dopo pranzo.
Quindi, fondamentalmente, dovevo sempre aspettare le 4 o le 5 per uscire sotto casa, e mi rompevo nell'attesa, e rompevo chi mi stava intorno, tipo mia madre, che cercava in tutti i modi di aiutarmi a trovare qualcosa di divertente da fare per ammazzare il tempo.
Ma non c'era niente da fare: finivo i compiti e arrivava, puntuale, la noia.

Anche oggi è lo stesso. Non riesco a stare senza qualcosa da fare, che sia lavoro, divertimento o altro.
La notte mi deprimo se non riesco a dormire appena metto piede a letto, perché non so mai che cazzo fare mentre me ne sto al buio sotto le coperte. E allora guardo l'ora, penso a ciò che devo fare il giorno dopo, e poi penso a quello che ho fatto il giorno prima, a quello che avrei potuto fare ma che non ho fatto e a quello che avrei fatto bene a non fare ma che, malauguratamente, ho fatto.

Se sono in fila al supermercato non so come comportarmi, mi innervosisco e vorrei saltare al collo della stronza cassiera che non chiama aiuto e fa finta di non vedere la coda di clienti che comincia al reparto frutta e verdura.

Insomma, io mi scasso da una vita.

Secondo me la vita è quello che ti succede nei rari momenti in cui non ti rompi le palle.

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