venerdì 29 gennaio 2010

Io della vita non ci ho capito un cazzo.

Perché sono dovuta arrivare a questa età per capire finalmente che c'è una cosa peggiore dello sbattersene di tutto: dare importanza alle cose sbagliate.

Perché sono cresciuta con l'idea pressante che tutto ciò che avevo non era mai sufficiente. E ovviamente mi riferisco a cose materiali. E oggi mi domando: cazzo ci devo fare con tutte le cavolate che ho accumulato?

Invece ho preteso e pretendo sempre pochissimo sul fronte dei sentimenti e delle emozioni. Se parliamo di amicizia e di rapporti sociali in generale, sono ben felice di accontentarmi del minimo sindacale.
Mi basta, semplicemente.

E' una colpa sentirsi appagati da interazioni sociali e rapporti superficiali?

Io dico di sì.

martedì 26 gennaio 2010

Vi prego, datemi qualcosa in cui credere

Qualunque cosa, anche se è immorale o disumana.



Ieri sera The departed ha messo ko tutta la famiglia. La pubblicità della mediaset ci ha lentamente dilaniati tutti, così appena hanno visto i titoli di coda i miei genitori si sono trascinati a letto.
Io invece sono rimasta davanti alla tv, e dopo essermi assicurata almeno un mesetto di notti insonni guardando lo speciale morbosissimo sulla ragazza tenuta prigioniera da un pazzoide per otto anni, ho pensato bene di rivedermi un vecchio concerto dei Noir Désir, scaricato chissà quando, perché ultimamente mi sento molto molto "In the mood". Anzi, direi che mi ci sto chiudendo. Di nuovo.

Arrivata alla canzone di cui sopra, è scattato il piantino liberatorio. Perché sono passati tanti anni, perché mi sento vecchia, perché sento che le cose non mi fanno più l'effetto che mi facevano a 12 anni.
Perché in fondo è vero che non credo più a niente e a nessuno, non è solo un atteggiamento.

Ho pianto anche perché mi sono resa conto di essere stata una stupida ragazzina, in passato. Una di quelle che si prende una cotta per una celebrità, e la idealizza al punto di attribuirle caratteristiche superiori che nessun essere umano può possedere.
Solo che io non avevo scelto Francesto Totti, o uno qualsiasi dei Backstreet Boys, o Leonardo Di Caprio (che all'epoca andava via come il pane).
Avevo scelto Bertrand Cantat, un cantante francese impegnato che in Italia conoscevamo davvero in pochi.
Uno con l'aria da bohemien (la stampa anni dopo scriverà 'bello e dannato'. Ma andate al diavolo), uno fermo e deciso sulla sua scelta di non far parte dei meccanismi disgustosi delle grandi case discografiche, uno che cantava canzoni complicate e quasi sessantottine, che io capivo pochino. E non era solo una questione di lingua.
Uno che era sì fico, ma che aveva talmente tante altre qualità che quasi te ne dimenticavi.

Stop. Perché uno così si permette di tradire l'immagine che noi fan ci siamo fatti di lui? C'era qualcosa che non quadrava, perché il 'mio' Bertrand non avrebbe mai piacchiato una donna, e tanto meno fino ad ammazzarla.
Il 'mio' Bertrand era uno spirito libero, non un borghesuccio geloso, non un fidanzato-padrone.

Lezione da imparare. Le canzoni sono migliori di chi le fa. E io quelle dei Noir Désir le amo sempre.

Forse la verità è che Bertrand non c'entrava nemmeno con il mio pianto di ieri. Forse, semplicemente, sento la mancanza di quegli anni, che comunque restano strettamente legati alla sua voce roca che mi accompagnava allora.
E allora mi pare impossibile. Impossibile che ci sia stato un tempo in cui credevo alle cose così intensamente. Mi pare impossibile che dieci anni fa o giù di lì sono stata una ragazzina così stupida.

Che comunque è sempre meglio di una ventenne che scrive una cazzata melensa del genere sul suo blog.

giovedì 7 gennaio 2010

Il 50 per cento della mia famiglia è votato al suicidio



Mia madre, se potesse, non metterebbe mai la cintura di sicurezza in macchina, perché nella sua mente un frontale mortale è preferibile al fastidio di sentirsi quella roba che ti "lega".

Mio fratello è solito abbandonare in auto, per terra, bricchetti di estathe, bottigliette d'acqua e altri oggetti che, potenzialmente, potrebbero finirgli sotto il pedale del freno.

Ma in fondo, chi sono io per parlare? Io sono quella che ieri, durante la guida, nei pressi di un incrocio, si è ricordata alla perfezione tutto quello che si deve fare quando ci si appresta a svoltare. Si è solo dimenticata di girare.

lunedì 4 gennaio 2010

Andrà tutto bene? Andrà tutto bene 'n par de ciufoli.

No, stavolta non credo che andrà tutto bene.
Solitamente nei momenti "no" mi racconto un mucchio di sciocchezze, che il tempo aggiusterà tutto, che troverò delle soluzioni alternative, che tutto andrà per il meglio.
Non credo proprio.

Non credo proprio che un giorno sarò in grando di guidare con disinvoltura un'automobile.

Non credo che una mattina mi sveglierò e tutti i sensi di colpa si saranno dileguati.

Non credo neanche che sarai tu ad aiutarmi ad allontanarli. Anzi, non ci sarà nessuno a farlo con me.

Non credo che conoscerò più notti di sonno tranquillo, prive di incubi e di risvegli improvvisi.

Probabilmente non smetterò mai di analizzare ogni dannata cosa che faccio, penso o dico. L'ho sempre fatto e sempre lo farò.

Non andrà tutto bene, ma con il culo che mi ritrovo già è tanto che vada.

sabato 2 gennaio 2010

Comunque io è una vita che mi rompo le palle.

Quando ero piccola mi annoiavo sempre. Non ero una bambina infelice, o stramba, o problematica, semplicemente mi rompevo costantemente le palle.
Giocavo coi lego, e dopo un po' mi stufavo e li rimettevo a posto. Giocavo con le barbie, e ad un tratto non ne potevo più e le frullavo sotto il letto.
La domenica uscivo di testa, perché non c'era scuola e tutti i miei amichetti dormivano fino a tardi. Anzi, non è vero che dormivano, erano i genitori che li tenevano in ostaggio a letto.
Anche dopo pranzo, non si poteva giocare prima di una certa ora perché alcuni genitori avevano questa assurda convinzione che i loro figli dovessero necessariamente farsi una pennica dopo pranzo.
Quindi, fondamentalmente, dovevo sempre aspettare le 4 o le 5 per uscire sotto casa, e mi rompevo nell'attesa, e rompevo chi mi stava intorno, tipo mia madre, che cercava in tutti i modi di aiutarmi a trovare qualcosa di divertente da fare per ammazzare il tempo.
Ma non c'era niente da fare: finivo i compiti e arrivava, puntuale, la noia.

Anche oggi è lo stesso. Non riesco a stare senza qualcosa da fare, che sia lavoro, divertimento o altro.
La notte mi deprimo se non riesco a dormire appena metto piede a letto, perché non so mai che cazzo fare mentre me ne sto al buio sotto le coperte. E allora guardo l'ora, penso a ciò che devo fare il giorno dopo, e poi penso a quello che ho fatto il giorno prima, a quello che avrei potuto fare ma che non ho fatto e a quello che avrei fatto bene a non fare ma che, malauguratamente, ho fatto.

Se sono in fila al supermercato non so come comportarmi, mi innervosisco e vorrei saltare al collo della stronza cassiera che non chiama aiuto e fa finta di non vedere la coda di clienti che comincia al reparto frutta e verdura.

Insomma, io mi scasso da una vita.

Secondo me la vita è quello che ti succede nei rari momenti in cui non ti rompi le palle.